Se volessimo il rispetto delle persone che alimentano la nostra vita sociale, dovremmo porci la seguente domanda. Nei loro confronti come mi comporto? Sono cosciente delle esigenze altrui, o in senso machiavellistico agisco sempre per un mio fine personale?
Tutte le mie teorie e riflessioni in tanti anni di “Pluchinik”, mi auguro abbiano stimolato l’interesse di chi mi legge e in passato mi giudicava diversamente
Ho letto con interesse l’articolo pubblicato sulla Pagina sul tema dei disturbi del linguaggio, e vorrei esprimere il mio parere o esperienza personale. Innanzitutto se c'è un libro che va letto che tratta in modo approfondito sul tema in questione..
In questa epoca di modernità e progresso, unito alla tecnologia che senza un vero scopo ci allunga e decreta la nostra immortalità, molte persone pianificano la loro esistenza come se dovessero campare per altri 150 anni.
25/03/2014
Se volessimo il rispetto delle persone che alimentano la nostra vita sociale, dovremmo porci la seguente domanda. Nei loro confronti come mi comporto? Sono cosciente delle esigenze altrui, o in senso machiavellistico agisco sempre per un mio fine personale? La questione è delicata se consideriamo le tendenze del momento, e di conseguenza emuliamo la pubblica ottusità che raramente ragiona. Avendo come tutti commesso qualche piccolo o grande misfatto verso gli altri, esso non è stato a causa della cattiva volontà. Anzi spesso è stata la buona volontà che ha portato i più grandi turbamenti nella mia esistenza. È nella natura occidentale poi diffidare, delle cosiddette tendenze “disinteressate”. Infatti, parlando dell’amore del prossimo, esso è sempre pronto e disponibile nel consigliarmi o aiutarmi. Senza venire incompreso (anche se è inevitabile), io considero le tendenze disinteressate in sé debolezza, come la compassione definita troppo spesso una virtù. Per rispetto da conquistare intendo, da parte del prossimo un senso di delicato "senso" delle distanze, oltre alla capacità di ascolto e affinità nei ragionamenti. Ognuno dovrebbe padroneggiare i propri impulsi più bassi e miopi, che agiscono nelle cosiddette azioni disinteressate. Superata questa prova estrema, il rispetto che avremo dagli altri sarà assicurato, soprattutto da parte dei nostri nemici più agguerriti. Il risentimento, nato dalla debolezza di volere agire a proprio favore, calpestando il rispetto altrui, non è dannoso a nessuno più che al debole stesso! La sicurezza del mio istinto poche volte nella prassi si è equivocata, per quanto riguarda lo smascheramento delle nature più deboli e prive di volontà di potenza. Per mia decadenza personale, e compassione derivata dalla mia indole cristiana, decido di appormi a una reazione impulsiva, che gioverebbe al mio interesse. Preferisco porgere l’altra guancia, e se il caso soccombere piuttosto che ferire l’altra persona o mettere in dubbio l’intero rapporto. Altre volte mi sento così agguerrito e pronto ad ‘ogni battaglia pur di ottenere le mie ragioni o il dovuto rispetto. La mia esperienza infine a seconda del caso mi guida su quale atteggiamento fare prevalere. Essere leone o pecora poco importa se ci sentiamo dei piccoli e insignificanti cittadini o consumatori. Se prevale invece l’autostima niente e nessuno dovrebbe mai calpestare e abusare del nostro rispetto. Infine la migliore guida di comportamento è l’esperienza di vita unita alla conoscenza delle persone. Senza troppe riflessioni l’agire o meno quando il nostro rispetto viene ferito, dipende dalla persona che abbiamo di fronte. Meglio chiedersi, vale veramente la pena d’investire il mio tempo e energie generando spesso riflessi negativi? ▲
05/03/2014
Tutte le mie teorie e riflessioni in tanti anni di “Pluchinik”, mi auguro abbiano stimolato l’interesse di chi mi legge e in passato mi giudicava diversamente. Non saprei quali dei miei testi siano più brillanti e originali, rispetto all’oceano di informazioni che da anni fluttuano nella rete. A volte mi sono appoggiato sui contenuti di autori famosi o sulle vicende attuali di politica e società. Il tutto condito dalla mia passione per gli aforismi, e la mia presunzione di fare il filosofo senza titolo. In tutto questo sarei un decadente o il suo contrario? Tra l’altro nelle condizioni spiacevoli della vita, ho sempre scelto istintivamente, lo strumento adatto alla mia indole. La scrittura come medicina e cura a ogni spasimo che a volte mi affligge. Sentirsi sano, ma nel dettaglio, nella peculiarità scrivere sulle decadenze di noi umani, è da persona sana? Quanta energia per conquistare, un assoluto isolamento e distacco dalle condizioni abituali. La natura in questo mi è stata amica, come la mia fedele bicicletta compagna nelle passeggiate di sana libertà mentale al servizio della scrittura, o scoperta delle meraviglie in natura immortalate poi dalla mia inseparabile Nikon. Spesso condivido questi momenti con la mia famiglia, in particolare modo mio figlio Leonardo, che con il pretesto dell’impegno sportivo inconsciamente riesco a coinvolgere nei miei ragionamenti e letture. Così mi sono preso per mano sin da bambino, decidendo di trasformare le mie precarietà famigliari, in un energico stimolante al vivere, al vivere di più. È così infatti che oggi ricordo quel lungo periodo di turbolenze mentali. Ho così scoperto, me stesso incluso, e tutte le cose buone e belle, come pochi avrebbero potuto farlo. La mia decadenza iniziale si è evoluta in volontà di salute, di vita. È questa la mia filosofia sulla mia decadenza di cui scrivo descrivendo il mondo. La mia missione di farmi notare non è mai esistita, almeno nelle intenzioni. Come disse Nietzsche tanto tempo fa: “Dal fatto che un uomo ben riuscito fa bene ai nostri sensi, dal fatto che `tagliato in un legno duro, tenero e profumato al tempo stesso”. Ecco così vorrei sentirmi per coloro che mi giudicano decadente o incompreso alla loro profondità mai rivelata, perché troppo mascherata dal loro materialismo e superficialità. ▲
08/02/2014
Ho letto con interesse l’articolo pubblicato sulla Pagina sul tema dei disturbi del linguaggio, e vorrei esprimere il mio parere o esperienza personale. Innanzitutto se c'è un libro che va letto che tratta in modo approfondito sul tema in questione oltre all’uso in generale dei media digitali, e dell’impatto sulla mente dei giovani e non, è quello di Manfred Spitzer (Demenza digitale). È un’analisi spietata di uno dei più noti e autorevoli studiosi della rete. Dalla penna di uno dei più rinomati neuro scienziati tedeschi, si tratta di un documentatissimo saggio che avendolo letto personalmente, mi ha convinto di come i media digitali siano pericolosi per la nostra mente e il nostro corpo, se usati in modo errato. È giusto intervenire in tempo sui bambini in età prescolastica che oltre alla lingua materna, spesso incontrano, difficolta, come nel caso di stranieri nell’apprendimento di una o più lingue, che dovranno apprendere nel corso del loro percorso scolastico. Senza computer, smartphone e internet oggi ci sentiamo perduti. Questo vuol dire che l’uso massiccio delle tecnologie di consumo sta mandando il nostro cervello all’ammasso. E intanto la lobby delle società di software promuove e pubblicizza gli esiti straordinari delle ultime ricerche in base alle quali, grazie all’uso della tecnologia, i nostri figli saranno destinati a un radioso futuro ricco di successi. Se gli interessi economici in gioco tendessero a sminuire, se non a occultare, i risultati di altre ricerche che vanno in direzione diametralmente opposta? In conformità a tali studi, l’autore si domanda in questo libro documentatissimo e appassionato, se è lecito lanciare un allarme generale. I media digitali in realtà rischiano di indebolire corpo e mente non solo dei nostri figli. Se ci limitiamo a chattare, twittare, postare, navigare su Google… finiamo per parcheggiare il nostro cervello, ormai incapace di riflettere e concentrarsi. Un altro effetto nocivo è quello del multitasking che vorrei spiegare con uno scenario tipico e reale. Immaginiamoci un giovane che davanti al suo PC elabora un testo scolastico, mentre con lo smartphone è collegato via “WhatsApp” con il resto della classe per chiedere dei lumi sul compito da risolvere, e altri pettegolezzi vari che non centrano niente con lo studio. Intanto la TV da anni ospite fissa nella sua camera trasmette la sua serie preferita, che tra un tentativo disperato di raggiungere il prossimo livello con la “Game Console”, e il rispondere a ‘alcuni sms, farà seguito (facendo attenzione ai genitori), alla visita in Internet di alcuni siti pornografici consigliati da dei compagni di scuola. In questo scenario non troppo irreale, affermare che l’uso sempre più intensivo dei media digitali scoraggia lo studio e l’apprendimento è riduttivo. Per non parlare dei social che regalano surrogati tossici di amicizie vere, indebolendo la capacità di socializzare nella realtà e favorendo l’insorgere di forme depressive. Mettiamo i politici, intellettuali, genitori e i cittadini di fronte a questo scenario. È veramente quello che vogliamo per noi e per i nostri figli? Sempre secondo studi accertati ma poco pubblicizzati, l’utilizzo sfrenato dell’informatica come strumento compensativo non migliora le capacità di apprendimento dello studente. E qui interviene Manfred Spitzer, dichiarando che si assiste a una vera e propria “demenza digitale” che, secondo il suo parere, assopisce il cervello dell’individuo, dislessico e non, e ne distrugge la sua creatività. Se togliamo l’informatica al dislessico come potremmo aiutarlo concretamente? Innanzitutto motivando o se preferite stimolando in lui la passione per qualcosa che faccia volentieri. Ed è sulla passione che inizialmente bisogna puntare per aiutare il dislessico. Bisogna prima appassionarlo alla matematica e solo dopo permettergli di utilizzare la calcolatrice. Invece ti vendo migliaia di software e computer super potenti per obbligarti a studiare una cosa che odi già in partenza. Ecco che il problema si capovolge. Il compito dell’insegnante nei confronti degli studenti, dovrebbe essere di stimolare in loro la passione per la matematica, la letteratura, l’inglese, ecc. La mia esperienza come genitore è che raramente l’insegnante si preoccupa se tuo figlio conosce a memoria le tabelline, o che sappia spiegarti il perché del ragionamento che si “cela” dietro alla soluzione di un problema logico-matematico. In ultima analisi, non è massimizzando i processi di elaborazione delle informazioni che comparandoci a un computer, sapremmo trovare delle soluzioni ai quesiti posti durante la fase di apprendimento, e in seguito nella vita. Senza l’esperienza di apprendimento vissuto e guidato dalla passione e volontà, ogni sforzo, e utilizzo della tecnologia, sarà solo una perdita di tempo che avrà come unico beneficiario l’industria dei videogiochi e altri surrogati spacciati come aiuto per l’apprendimento. Purtroppo l’inganno nasce dalla nostra pigrizia di approfondire certi temi, e di andare a volte controcorrente alle mode del momento. ▲
29/01/2014
In questa epoca di modernità e progresso, unito alla tecnologia che senza un vero scopo ci allunga e decreta la nostra immortalità, molte persone pianificano la loro esistenza come se dovessero campare per altri 150 anni. Innanzitutto l’aspetto fisico dovrà avere assoluta priorità e la cura del proprio corpo verrà affidato al mercato del benessere che promette miracolosi interventi, in cambio di costose cure o stili di vita improntati unicamente a rendere il nostro aspetto sempre giovanile, esente da rughe o spiacevoli malformazioni che l’età plasma per ogni forma di vita terrena. Se poi la cura esteriore giunta al limite per motivi di costi o di evidente invecchiamento non ci soddisfa più, ecco che giunge in soccorso la cura delle nostre anime o spiriti tramite frammenti di antiche religioni rese attuali e perciò credibili di sanamento delle nostre pene. Ma la felicità non ha origine dagli astri o paradisi immaginari, e neanche da una vita ultraterrena che ci attende. Basterebbe una mano da stringere e un cuore da capire. Chi avrà compreso questa piccola ma grande verità, avrà non solo fatto un passo in avanti verso una vita senza limiti, ma non avrà fatto arricchire quei falsi venditori di illusioni e speculatori delle nostre infelicità e ignoranze. Intanto ogni fine mese gran parte di noi arricchisce gli speculatori di felicità chiamate banche o uffici leasing, pagando il mutuo su qualcosa che non sarà mai completamente mio, o su oggetti che invecchieranno ancor prima che possa finire di pagarli. Una volta accettata l’idea che la morte è parte della nostra vita, ci si sente più forti, e sarebbe un grande passo di libertà per l’uomo, e aiuta a vivere meglio. Non è evitando in tutti i modi di parlare della morte che quel prevedibile, naturalissimo momento non arriverà. Mentre siamo impreparati, e ci aggrappiamo alla vita soffriamo ancora di più . ▲